GALLERIA MARINI
OMAGGIO A MARINA DE STASIO
Testo a cura di Luca Pietro Nicoletti
Marina De Stasio ed Ennio Morlotti
La mostra rende omaggio alla giornalista e critica d’arte milanese Marina De Stasio, proponendo una selezione di opere che rispondono alle sue predilezioni nel campo delle arti visive e del suo principale campo d’azione: Milano.
Sottotraccia, ricordando alcuni dei testi più importanti della copiosa bibliografia di Marina De Stasio, la mostra offre una panoramica sulla linea più propriamente “lombarda” delle ricerche artistiche del secondo Novecento sviluppatesi nel capoluogo.
Da Chighine e Morlotti a Enrico Della Torre, Ossola e Ghinzani, artisti seguiti assiduamente dalla Galleria Marini,con questa mostra si dipana il filo rosso di un’arte lirica e malinconica, emotiva ma razionalmente strutturata.
Giancarlo Ossola, Ritratto di
Alberto Magnani e Marina De Stasio,1983,
olio su tela, 50 x 40 cm
Pensieri per Marina
di Elena Pontiggia
Marina De Stasio è stata, da quando l’ho conosciuta nel 1985 fino a quando è scomparsa, prematuramente, nel 2001, la mia amica “del cuore”. Penso però che non mi faccia velo l’amicizia (non è l’amicizia a far velo, ma l’odio e l’invidia di cui gli intellettuali in generale sono maestri), se dico che è stata uno dei rari esempi, oggi, di una critica più attenta ai lettori che a se stessa.
Marina amava definirsi una “divulgatrice” e non lo diceva per civetteria o per sfoggio di umiltà. Ci teneva a farsi capire. Le piaceva una dichiarazione di Machiavelli che anche a me capita spesso di ricordare: “Sendo l’intento mio, scrivendo, fare cosa utile a chi mi intende”. Anche lei si proponeva di fare cosa utile a chi la leggeva: un intento lodevole, in tempi in cui la critica è spesso inutile, quando non dannosa.
Pensava (ne avevamo parlato tante volte) che chi si interessa d’arte potesse giovarsi di una introduzione all’opera: un’introduzione – nel senso etimologico di un entrare nel cuore delle cose – scritta in modo semplice e possibilmente gradevole, con quel gusto del linguaggio che nasce dalla frequentazione dei veri scrittori.
Marina veniva appunto da studi di letteratura e la letteratura la insegnava. Era, anzi, una vera insegnante (gli insegnanti sono quelli che lasciano un segno: gli altri sono professori e non contano). Le dispiaceva che si fosse passati dalla “critica dei poeti”, magari un po’ imprecisa, magari un po’ letteraria, ma che si faceva leggere per le sue intuizioni di pensiero e il suo garbo linguistico, alla “critica dei dottorandi”, precisissima e scientificissima, ma che non legge più nessuno. Si sarebbe dovuto integrare la prima con la seconda, non sostituire l’una con l’altra, coi risultati modesti che vediamo oggi. Quanto a lei, rivelava nelle sue pagine la capacità di approfondire i significati dell’opera, quelli che la pittura suggerisce attraverso le intenzioni degli autori, ma anche aldilà di esse. Le era cara una linea lombarda che andava dal chiarismo all’informale, senza escludere il “Novecento” (che del resto è nato a Milano) e il realismo magico.
Con Marina ho diviso molti progetti, come Geografie dell’informale alla Permanente, la mostra del chiarismo del 1996, le retrospettive di De Rocchi alle Stelline e di Del Bon al San Fedele, e altre ancora. Con lei ho diviso tanti viaggi, qualche vacanza, molte passioni. Ho anche condiviso alcune amicizie, oggi falcidiate dalle assenze. Soprattutto ho diviso parte della giovinezza o - sarebbe meglio dire - della maturità, se non fosse che la maturità per me non è mai arrivata. Mentre per lei, che matura lo è sempre stata, si è interrotta troppo presto.